Home > Racconti di Croce Rossa > LA STORIA DEL COMITATO REGIONALE VENETO DELLA CROCE ROSSA ITALIANA

L’edificio principale, denominato “palazzina A”, del Comitato Regionale Veneto della CRI[1] nasce sotto il segno del principio di Umanità grazie alla donazione del Conte Ottavio Frova[2]. Il Conte, il 13 aprile 1928[3], concesse il terreno del litorale di Jesolo al sottocomitato di Treviso della Croce Rossa Italiana, “al solo scopo di prevenzione e cura della tubercolosi infantile[4]. Il terreno di 18.800 metri quadri, che aveva un valore superiore alle 100.000 lire, fu lasciato a titolo gratuito ed irrevocabile e segnò l’inizio della vita dell’attuale struttura[5].

 

Cominciarono a sorgere, così, numerose colonie elioterapiche per la cura dei bambini affetti da tisi[6] e la riabilitazione degli infermi, menomati a causa della loro partecipazione nelle trincee del Primo conflitto mondiale. Le colonie elioterapiche presero il nome di colonie marine, laddove erano situate in prossimità della costa, o di colonie montane ove vennero a costituirsi nelle zone alpine od appenniniche. La direzione era assunta da enti benefici, come la Croce Rossa Italiana, parrocchie oppure in regime di commistione tra queste figure[7].

Tali luoghi non rappresentarono solo la fondamentale possibilità di far respirare la sana aria marittima, o montana, ai malati, ma anche, nel Secondo dopoguerra, il mezzo per poter far trascorrere un periodo di vacanza ai figli delle famiglie meno abbienti. Tra le colonie di Croce Rossa, più care alla memoria, si ricordano la Colonia di Sottomarina – gestita dal Comitato di Padova –, la Colonia di Jesolo – in capo al Comitato di Treviso – e la Colonia montana di Enego.

La colonia marina di Jesolo era chiamata anche “Luigi Luzzati” o “Pietro Bifis” e la vita al suo interno si svolgeva dalla mattina alla sera, ricca di attività per i bambini come passeggiate, esercizio fisico, giochi e bagni al mare[8]. La necessità di intervenire nella cura dei molti bambini tisici ci è testimoniata dall’altissima proliferazione di colonie marine, lungo le coste italiane, tra i primi anni ’20 e la fine degli anni ’30. Vennero inoltre organizzate, sempre dalla CRI, le cosiddette Giornate delle due Croci per sensibilizzare la popolazione e raccogliere fondi per la cura dei malati tramite la vendita di spillette.

Dal 1940, la guerra causò un arresto dell’attività nelle colonie: diversi messaggi battuti a macchina ed indirizzati dagli Ispettorati e Centri di Mobilitazione della CRI ai vari Comitati ordinarono la sospensione dei servizi nelle colonie, al fine di garantire la sicurezza dei bambini. L’occupazione tedesca del nord-Italia dimostrò la sua ferocia anche nelle colonie, che in molti casi vennero devastate o riconvertite in ospedali da campo e posti di comando[9]. Non è chiaro se la colonia marina di Jesolo abbia funzionato come un ospedale durante il conflitto, anche se la documentazione dell’Ufficio Storico del Centro di Mobilitazione Nord Est parrebbe suggerirci un possibile diniego a questa ipotesi. Le ricerche storiche sull’argomento sono infatti ancora in corso[10].

Con la fine del Secondo conflitto mondiale si ripresentò la necessità di curare i molti bambini affetti dalla tubercolosi e poter dare loro l’occasione di vedere il mare, passare un mese con i coetanei e dimenticare i patimenti della guerra. In una minuta datata 1° agosto 1945, il commissario dott. Vittorio Scimone[11] con l’Ispettrice S.lla De Marchi[12] affermano che “Le nostre colonie sono state devastate e spogliate di tutto” e invitano ad aiutare la Croce Rossa, nell’opera di ripristinare tali luoghi, per “difendere l’infanzia dalla tubercolosi dilagante con le cure preventive delle colonie[13]. Inoltre, riconosciuto il carattere formativo di questi ambienti, le colonie non restarono mero appannaggio delle fasce più povere, ma si aprono a tutti coloro che avessero interesse a mandare i figli in vacanza, al mare od in montagna, per un mese. Si vede quindi un passaggio dalle colonie elioterapiche, con una precisa finalità sanitaria, a colonie estive concepite come centri ricreativi e formativi per i bambini. Fin da subito la CRI si preoccupò di rendere nuovamente funzionanti le colonie marine, per questo furono istituite le Settimane della Croce Rossa, manifestazioni non dissimili dalle Giornate delle Due Croci nelle quali si raccoglievano donazioni, anche tramite la vendita di spillette e distintivi, per ripristinare la funzionalità le colonie, i cui costi di sistemazione furono elevatissimi[14].

Le Infermiere Volontarie della CRI furono nuovamente chiamate ad assolvere il compito, così come avevano fatto durante il ventennio, in linea con il loro “motto”[15], per assistere i bambini che sarebbero stati ospitati nella colonia di Jesolo, così come in tutte le altre. All’interno delle colonie si poteva trovare personale ecclesiastico, Infermiere Volontarie CRI oppure personale misto. A Jesolo operavano le Infermiere Volontarie, che avevano anche una delle loro Sorelle[16] come direttrice, coadiuvate da alcune suore.

 

All’interno della colonia di Jesolo vi erano una pluralità di servizi, svolti dalle Sorelle della CRI, come ad esempio il servizio di mensa, il servizio d’infermeria, l’accompagnamento dei bambini da e per la colonia ed il servizio di vigilanza. Le infermiere Volontarie, impegnate in questi ed altre attività, erano sottoposte a rigide regole nelle colonie: il corredo dell’uniforme, che doveva essere impeccabile, doveva comporsi di due uniformi azzurre e due bianche complete[17]. L’uniforme azzurra, di cotonina andava utilizzata per il servizio, mentre l’uniforme bianca andava utilizzata per la S. Messa ed i giorni di festa[18]. Era espressamente raccomandato di effettuare il bagno al mare, nelle ore libere dal servizio, sole od in compagnia delle vigilatrici[19], ma mai in presenza dei bambini, per evitare “commenti ed apprezzamenti deleteri per il prestigio che la Sorella deve saper mantenere nei confronti di tutti[20]. Vi era infine una scelta attenzionata del personale assegnato alle varie mansioni: solamente le Infermiere diplomate[21] potevano occuparsi dell’infermeria. Alle allieve era riservata la cura della mensa e il ruolo di vigilatrici[22].

Le infermiere Volontarie che prestavano servizio a Jesolo provenivano dai Comitati CRI del Veneto, il Comitato di Treviso forniva la parte più corposa del personale e nello stesso prestava servizio S.lla Perbellini che guidò la colonia per 10 anni come direttrice[23] ed a cui il Comitato di Treviso organizzò una cerimonia di ringraziamento per il lungo servizio reso.

Non mancarono Sorelle provenienti dalle altre regioni d’Italia, ma tra le II.VV. degne di menzione è doveroso ricordare S.lla De Giacometti Baricordi Ernesta dell’Ispettorato di Feltre, che garantì ben 40 presenze nel 1969 e S.lla Sattin Mery[24], dell’Ispettorato di Padova, che si occupò principalmente di garantire il servizio di accompagnamento dei bambini da e per la colonia di Jesolo, effettuando 25 presenze nella sola estate del 1969 (26 giugno – 10 settembre).

La colonia estiva di Jesolo era aperta ai bambini e ragazzi dal 10 giugno al 30 settembre di ogni anno e non è difficile immaginarsi il lavoro profuso dalla CRI e dagli Ispettorati delle II.VV. nell’organizzazione dell’accoglienza e nella ricerca del personale. Le Sorelle reclutate ogni estate erano circa 30 suddivise per turni di 12-15 sorelle nei 3 mesi di attività e la colonia arrivò ad ospitare fino a 640 bambini, nel 1969, le cui famiglie versavano una retta di 350 Lire al giorno, circa 3,34 euro oggi[25]. Il carattere umanitario della colonia della CRI, però, sopravvisse alla guerra e si rifletté nell’apertura anche invernale della struttura, riservata ai figli delle famiglie povere ed esente da ogni tipo di retta[26].

Le colonie non furono esenti da episodi infelici: nel 1969 alcune vigilatrici denunciano un clima ostile nei loro confronti da parte delle Infermiere Volontarie di Treviso. Esse, dopo anni di servizio assieme a Jesolo, avevano creato una sorta di “clan ristretto[27] che boicottavano le S.lle provenienti da altri Comitati. In concomitanza risultò inoltre che l’I.V. di Trapani, destinata all’infermeria, non era diplomata[28]. Emersi i fatti, il Presidente del Comitato CRI di Treviso comunicò l’accaduto all’Ispettrice Nazionale II.VV. e decise di assegnare la direzione della colonia ad altri, rimuovendo la storica S.lla Perbellini (cui verrà dedicata una cerimonia di ringraziamento, come si è detto sopra) e causando uno “sciopero” delle II.VV. trevigiane[29] che saranno duramente richiamate ed ammonite dall’Ispettorato Nazionale. La sostituzione di S.lla Perbellini, comunque, non si configurò come una punizione, ma piuttosto come un alleggerimento da un incarico decisamente gravoso che aveva ricoperto per anni. La nomina di un nuovo direttore alla colonia sarà inoltre causa di un pessimo stato d’animo per S.lla D’Odorico, nominata vicedirettrice per l’anno 1970, e grosse incomprensioni di gestione tra S.lla Carpi, Infermiera Volontaria inviata a Jesolo dall’Ispettrice Nazionale come persona di fiducia nell’anno 1971, e il direttore stesso.

Nel 1972 i Pionieri[30] parteciparono al servizio presso la colonia, ma “giunti in numero superiore alle Sorelle” pare siano stati “ribelli agli ordini della direttrice” e che “si siano permessi di organizzare un’assemblea sobillando vigilatrici e personale[31]. Molte Sorelle lasciarono la colonia, ma coloro che restarono furono encomiabili a portare a termine il servizio e farsi carico anche del lavoro di coloro i quali erano partiti[32].

Questi episodi, che non mettono in ombra l’operato di tante Infermiere Volontarie e lo spirito della colonia di Jesolo, accadono in un periodo prossimo ad una transizione definitiva per la colonia stessa. È doveroso astenersi dal commentare se questi episodi siano causa o concausa del futuro di Jesolo come colonia marina, soprattutto perché mancano gli elementi probatori in merito. Possiamo dire, però, che le nuove necessità di impiego della Sede si ravvisarono già nel marzo del 1971 quando su richiesta del Comitato Centrale viene effettuata un’esercitazione tra Pionieri, Pioniere e Militari della Croce Rossa.

 

La colonia marina di Jesolo cesserà definitivamente la propria attività nel 1977. Non sarà però la fine della struttura, dopo quasi 50 anni di attività il Comitato Nazionale, con l’Ordinanza Presidenziale n. 678 del 21 luglio 1977 trasformerà il “Comprensorio” di Jesolo[33] in una struttura dedicata all’espletamento di attività socio-assistenziali, assegnandole il nome di S.A.S.A. C.R.I. – Centrò Attività Socio-Assistenziali CRI – dipendente a livello amministrativo e funzionale dal Servizio Attività Socio Assistenziali – Emergenze. Va a costituire, quindi, la sezione distaccata del 2° Centro Operativo di Emergenza[34] di Verona[35]. Con tale documento viene a modificarsi non solo la natura d’impiego del complesso (anche se, come suggerisce il nome, permane la finalità ultima di assistenza e cura ai più bisognosi, come auspicato dal conte Frova all’atto della donazione), ma anche la dipendenza amministrativa che vede il C.O.E. di Verona succedere al Comitato di Treviso. Questa successione di dipendenza sarà definitivamente ufficializzata con l’Ordinanza Commissariale n. 2770 del 20 novembre 1984[36] che affida il Centro di Jesolo al Comitato Provinciale di Verona.

Tra gli anni 1996-97 alcune Ordinanze Commissariali[37] , del Comitato Nazionale, andranno ad interessarsi dei necessari lavori di ristrutturazione e di adeguamento del complesso di Jesolo per la sua attuale destinazione, subordinata alle attività dell’Area Emergenze. In particolare, si riorganizzarono le 4 palazzine (“A”, “B”, “C”, “D” e “F”) identificando i locali idonei a costituire il “Centro permanente di formazione per le attività di emergenza”, gli uffici del 2° C.O.E. e la sistemazione della struttura principale (palazzina “A”, l’ex colonia estiva) per ottenere oltre 340 posti letto, unitamente alle palazzine “D” e “F” che costituiranno anch’esse degli alloggi. Questi alloggi trovarono subito il loro scopo nell’accoglienza di circa 1400 profughi dell’ex Jugoslavia, scappati dalla guerra tra il 1991 e il 1995[38].

I molti lavori di ristrutturazione, diretti dall’Ing. Barbazeni, avranno lo scopo di apportare un adeguamento tecnologico al nuovo centro di risposta alle emergenze e di salvaguardare la struttura dal deterioramento dovuto all’invecchiamento degli stabili[39].

Per l’ex colonia marina della C.R.I. a Jesolo, sicuramente il documento più importante è l’Ordinanza Commissariale n. 4323 del 17.07.1997, con la quale vengono costituiti i Comitati Regionali. Il primo Commissario per il Comitato Regionale Veneto sarà Edda Cattich Dall’Antonia, fino al 1998. È quindi in questa data che la struttura di Jesolo, con le sue palazzine, la sua spiaggia ed i suoi ampi spazi si distacca ufficialmente dalla storia della sua nascita e del suo sviluppo, prendendo le sembianze del “comprensorio”[40] che noi tutti oggi conosciamo. Questa nuova “forma” non corrisponderà ad una diversa “natura”, poiché già dal 2007 la struttura ha ospitato i profughi arrivati dal continente africano. Il C.A.S.[41] di Jesolo funzionerà fino al 2020, quando gli ultimi richiedenti asilo saranno trasferiti altrove.

Ora la struttura, o per meglio dire il Comitato Regionale, guidato dall’attuale Presidente Regionale Francesco Bosa[42], è sede di manifestazioni, corsi della Croce Rossa ed a disposizione dei Comitati sul territorio. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, la sede Regionale si è resa disponibile ad ospitare le famiglie ucraine fuggite dagli orrori del conflitto, segno che lo spirito di C.R.I.  è sempre vivo a Jesolo, come negli anni ’90, nel 2007, così anche oggi.

 

Se si visita il grande complesso, con il suo suggestivo bosco, non è più possibile udire gli schiamazzi dei bambini e vedere le Infermiere Volontarie, con le loro uniformi azzurre di cotonina, accompagnarli in spiaggia. Si è colpiti da un silenzio speciale, quasi opprimente per chi è abituato a vivere in città, ma resta incisa, come scolpita, la storia di questa struttura, che è la storia di una generazione (la generazione delle “colonie estive”) ogni qualvolta si alzano gli occhi e si guardano la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa sul grande edificio.

L’Ufficio Storico del Centro di Mobilitazione Nord-Est

Corpo Militare della Croce Rossa Italiana

Autore Gianluca Dalboni

Curatori Tommaso Dossi e Michele Cardin

 

[1] Croce Rossa Italiana
[2] I conti Frova furono una nobile famiglia veneta di possidenti terrieri, dedita all’allevamento del bacco da seta. Ottavio Frova cominciò la vendita dei terreni litoranei di Jesolo già dal 1908.
[3] “Nobile Signor Avvocato Ottavio Frova di Francesco, donante, e il sottocomitato di Treviso della Croce Rossa Italiana, donataria. Rogito del notaio cavalier dottor Ferruccio Sacchetto del fu Francesco residente in Treviso”. Estratto dell’atto di donazione.
[4] L’asta della Croce Rossa potrebbe essere bloccata, da La Nuova di Venezia e Mestre, 6 febbraio 2015.
[5] L’asta della Croce Rossa potrebbe essere bloccata, da La Nuova di Venezia e Mestre, 6 febbraio 2015.
[6] Tubercolosi.
[7] Le Colonie Marine, fascino di un’epoca indimenticabile, da Jesolo Journal, 6 settembre 2021
[8] Colonie marine del mare Adriatico, da Le Colonie.
[9] Le informazioni sono tratte dall’Archivio Storico del Comitato di Padova, Croce Rossa Italiana.
[10] È stata rinvenuta una lettera di risposta indirizzata dal XV° Centro di Mobilitazione di Udine al Comando del Distretto Militare di Treviso nella quale viene affermato che la sede di Jesolo non ha mai funzionato in qualità di ospedale, o meglio che tale funzione non risulta a detto Centro. La questione è dibattuta poiché mancano le successive comunicazioni e le risposte dal Comitato CRI di Treviso, dal quale all’epoca dipendeva Jesolo, che il XV° Centro afferma di contattare per maggiore chiarezza.
[11] Commissario del Comitato CRI di Padova
[12] L’ispettrice Prov.le delle II.VV. di Padova, Sorella Lucia De Marchi.
[13] Dal prot. 557 dell’1.08.1945 del Comitato di Padova, conservato presso l’Archivio Storico del Comitato CRI di Padova.
[14] Lettere dell’allora Presidente del Comitato CRI di Padova, conservate presso l’Archivio Storico del Comitato di Padova, raccontano dell’importanza di questi eventi, per poter provvedere alla sistemazione delle strutture devastate dalla furia Nazista e dagli orrori della guerra.
[15] Il motto delle II.VV. è “Ama, Conforta, Lavora, Salva”.
[16] Con il termine Sorella, in ambiente di Croce Rossa, si intende un’Infermiera Volontaria. Tra II.VV. sono solite chiamarsi con l’appellativo di “Sorelle”.
[17] I corredi bianchi e blu prevedevano grembiule, cuffia, calze e guanti bianchi e blu, scarpe bianchi e nere e veli bianco e blu.
[18] L’Ispettrice Nazionale II.VV. Paola Menada ci ha lasciato un interessante documento, conservato presso l’Archivio Storico del Comitato di Padova, contenente una dettagliata descrizione dei corredi delle Sorelle in servizio e del loro impiego nelle diverse situazioni.
[19] Con il termine “vigilatrici” s’intendeva le Sorelle (o le suore) assegnate al servizio di vigilanza.
[20] Questa bellissima espressione è una citazione di quanto scritto dall’Isp. Naz. S.lla Menada nel documento riportato poc’anzi.
[21] S’intende le Sorelle che hanno terminato il corso biennale per il Corpo delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana, ottenendo il diploma.
[22] Dalle lettere dell’Isp. Nazionale all’Isp. Di Treviso, conservati nell’Archivio Storico del Comitato di Padova.
[23] La guida di S.lla Perbellini va dagli inizi degli anni ’60 fino al 30 settembre 1971.
[24] S.lla Sattin è stata decorata con la Croce dell’Ispettorato Nazionale per il servizio reso durante l’alluvione del 1966-67 (94 presenze in servizio) che colpì per l’appunto maggiormente Venezia e Firenze.
[25] Fonte ISTAT da https://inflationhistory.com/.
[26] D’Inverno la CRI ospitava gratuitamente i bambini delle famiglie indigenti.
[27] Questo termine ci è suggerito proprio dall’Isp. Naz. S.lla Menada nella lettera conservata presso l’Archivio Storico del Comitato di Padova.
[28] Era un’allieva al primo anno del corso per le II.VV.
[29] Lo “sciopero” prevedeva la mancata disponibilità al servizio estivo a Jesolo e trova la ragione, per le firmatarie, in un’azione di protesta a sostegno della destituzione di S.lla Perbellini.
[30] I Pionieri erano una delle vecchie componenti della C.R.I., vi accedevano ragazzi e ragazze dai 14 ai 32 anni.
[31] Relazione del mese di giugno 1972 dell’Ispettorato II.VV. di Treviso, Archivio Storico del Comitato di Padova.
[32] L’episodio e i complimenti sono riferiti dall’Ispettrice Provinciale di Treviso S.lla Tina Van Den Borre nella relazione del mese di giugno 1972
[33] Così definito nel documento.
[34] Identificato con la sigla C.O.E. C.R.I.
[35] Dall’Archivio del Comitato Regionale Veneto della C.R.I.
[36] Dall’Archivio del Comitato Regionale Veneto della C.R.I.
[37] O. C. n. 1391 del 22.2.1996 e O.C. n. 5777 del 30.12.97 del Comitato Nazionale.
[38] Dal sito Urbano Archivi – (danilobazzani.com).
[39] O.C. n. 1391 del 22.2.1996 e promemoria straordinario del 23.2.1996 del Servizio Patrimoni del Comitato Nazionale.
[40] Riprendo il termine utilizzato dal Comitato Nazionale.
[41] Centro di Accoglienza Straordinaria.
[42] In carica quale Presidente Regionale dal 2016, precedentemente Commissario Regionale dal 2015 al 2016.