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Oggi ero a casa e mi è arrivato, come spesso capita in quest’era tecnologica, un Whatsapp, un suono squillante ed un video da caricare. Lo avevo già visto, ambientato in Cina, una stradina caotica tra le botteghe, un bimbo che fugge con qualcosa stretto tra le mani, una signora furiosa lo ferma. Sono medicine, lui guarda in basso, si vergogna, sembra ancora più piccolo e le stringe tra le mani. Un uomo arriva e lo vede, capisce, paga le sue medicine e gli dà verdura fresca per farne una zuppa. I farmaci sono per sua madre e quel bimbo lo guarda, uno sguardo che ferma il tempo riposandosi trent’anni dopo sulla stessa scena.

Stessa via, l’uomo è più vecchio ma non ha perso l’abitudine della generosità, all’improvviso cade a terra, sua figlia spaventata lo soccorre, un ospedale, esami, cure, un conto da pagare e lei sa di non poterselo permettere, neppure mettendo in vendita la loro bottega.

Sembra che la storia finisca ed invece quel bambino è cresciuto e non ha dimenticato, è un medico ora, il medico che ha in cura l’uomo. In un foglio lasciato sulle lenzuola del letto di suo padre la ragazza trova il conto saldato, “trent’anni prima, con i farmaci e la zuppa”.

Non finirei mai di vedere questo corto, l’ho mostrato a mia figlia che ride dei miei occhi lucidi ogni volta. Non sa quanto questa storia si porti dietro mille e mille storie di stupore negli occhi di chi vede tornare indietro il bene che ha fatto, il sorriso che ha lasciato fiorire sul proprio volto la mano che si tende per sollevare.

Cosa c’entra con “pensieri di CRI”? Molto in realtà, ma non è storia di oggi, è storia di ieri, polvere paura e guerra. Mio padre Alberto era un uomo buono, distinto e attento ai sentimenti degli altri, così fuori moda oggi nel correre frenetico. Non ricordo una festa della mamma in cui non abbia comperato “la cioccolata con le nocciole ed i fiori”, anche quando era alla fine non l’ha dimenticato. Mio padre Alberto era un militare al fronte nella seconda guerra mondiale, deportato, ha vissuto gli stenti e le sofferenze che la guerra porta e che noi per fortuna non conosciamo più. Oggi la guerra, da questa parte del mondo, sembra un videogioco, un documentario da vedere in TV, una abitudine alla sofferenza che le toglie dignità, una gara alla scena più raccapricciante.

Mio padre quando ero piccola mi raccontava di una volta in particolare in cui aveva visto la morte in faccia, si era trovato di fronte al plotone d’esecuzione, con altri, non ricordo nemmeno più tanti sono gli anni passati dal suo racconto ad oggi, quale era, se c’era, la motivazione per cui avevano deciso di ucciderli.

Mi raccontava di aver chiuso gli occhi e pregato, sentito gli spari come se stesse accadendo ad altri, non sentiva più nulla, non sentiva quando lo prendevano, lo spostavano, gli mettevano addosso qualcosa. Poi il silenzio, un silenzio innaturale, e la sensazione di avere sensazioni, di essere lì e sentire il proprio corpo. Era vivo, non gli avevano sparato. Qualcuno all’ultimo momento gli aveva messo al braccio una fascia della croce rossa.

Quella fascia gli ha salvato la vita. Non si spara sulla Croce Rossa.

Chi era stato a salvarlo? Perché lo aveva fatto? Non lo ha mai saputo, non lo ha mai scoperto, forse non ha voluto nemmeno chiederlo.

Penso solo a come si sia sentito e a come quelle paure continuassero a tormentarlo dopo, addolcite dal pensiero di questo qualcuno che aveva rischiato nel salvargli la vita. Qualcosa che tornava chissà da dove, magari solo uno sguardo, una lettera scritta, una sigaretta offerta, un racconto di se nel buio e freddo della prigionia. Non è l’unico esempio, potrei citarne altri, potremmo tutti trovarne se guardiamo bene nelle pieghe delle nostre vite, quanti sorrisi ad attenuare la rabbia, quanto affetto inaspettato in momenti bui.

E allora faccio volontariato nell’area che segue il DIU, “l’area quattro”, quella che si occupa di disseminare il Diritto Internazionale Umanitario, i Principi Fondamentali ed i Valori Umanitari e coopera con gli altri membri del Movimento Internazionale. Guardo i video del Diritto Internazionale Umanitario, leggo, ascolto gli interventi ai convegni e cerco di imparare a fare qualcosa che serva, ad ascoltare e a raccontare le storie vere, e mi sento orgogliosa.

E’ qualcosa che cambia qualcosa, anche poco. Prima di tutto cambia me. Chissà cosa mi direbbe mio padre se mi vedesse ora? Mi direbbe che in fondo gli somiglio, e sono orgogliosa anche di questo.

Patrizia – Volontaria CRI