Home > Racconti di Croce Rossa > Un turno in Pronto Soccorso

Mi trovo in sede alle 19.30 con lo psicologo e l’altro volontario che presta, come me, il servizio di operatore psicosociale, quattro chiacchere e poi ci avviamo verso il pronto soccorso per l’inizio del turno alle ore 20.00. Fuori fa freddo, tiro su la zip del maglione e mi metto il berretto di lana.

Arrivati in pronto soccorso, in attesa di presentarci al medico di turno, stazioniamo in area rossa presso lo sportello del triage al quale si presentano tutti i pazienti per farsi assegnare un codice colore che scandirà il tempi della loro avventura.

Ci presentiamo, ci consegnano i badge per aprire le porte ed iniziamo a prendere visione dei pazienti e dei familiari presenti in area rossa, area verde ed in sala di attesa che è gremita di persone con il foglio di accettazione in mano.

Il turno degli operatori psicosociali presso il pronto soccorso è sempre denso di emozioni, sono quattro ore nelle quali ti immergi tra i pazienti ed i loro parenti cercando la parola giusta o anche solo uno sguardo o un sorriso che possano alleviare la tensione dell’attesa. A volte incroci lo sguardo di chi soffre una volta sola, altre volte basta un sorriso per iniziare una conversazione, ti siedi a fianco ed ascolti, ogni paziente è come un nuovo libro che si racconta, il parente al suo fianco è come il narratore che qualche volta è all’interno della storia e qualche altra fuori campo.

–          Stati di ansia, pressione alta e possibili attacchi di panico.

Un ragazzo di 25 anni circa si presenta al triage per stati ansiosi accompagnati da pressione alta e possibili attacchi di panico, l’infermiera del triage ci segnala di monitorarlo ed io aspetto la prima buona occasione per farmi raccontare come si sente e cercare donargli un pochino di tranquillità. La conversazione con lui inizia nel momento in cui esco dal pronto soccorso, mentre fuma una sigaretta in compagnia della sua ragazza, l’aggancio con una battuta sul clima (speriamo che non piova perché sono in scooter) e dopo una scambio di saluti mi racconta che è venuto in PS perché da alcuni giorni ha la pressione alta e si sente agitato, non dorme bene e preferisce farsi controllare meglio lo stato di salute.

Ha paura che gli ritornino gli attacchi di panico che ha già avuto circa un anno prima e che, con l’aiuto di una terapia farmacologica, si sono attenuati fino a scomparire Mi racconta che lo stato di ansia sì è accentuato da circa una settimana, da quando ha finito il corso per Operatore Sanitario. La maggiore preoccupazione della quale mi racconta è quella di essersi ritrovato alla fine del corso senza avere un lavoro e senza nessuna prospettiva futura. Chiacchieriamo per circa un quarto d’ora e rientriamo mentre il ragazzo  torna in sala di attesa ad aspettare il suo torno per la visita. Sono ripassato varie volte durante il giro per le aree del pronto soccorso cercando sempre di mantenere un contatto, a volte con un saluto e altre con un sorriso. Prima di finire il turno sono passato in sala di attesa a salutare lui e la sua ragazza. Per tutto il tempo trascorso in pronto soccorso è stato calmo e non ha dato segni di agitazione, a volte anche solo il fatto di sapere che sei in attesa di entrare in sala visita ma sei in un luogo protetto può aiutarti a stare meglio.

–          Bambino di anni 10 circa con la mamma volontaria della Croce Rossa

Davanti alla sala raggi, seduto sulle sedie, vedo un bambino di circa 10 anni che con il braccio sinistro si tiene fermo il polso destro. La mamma la conosco, è una volontaria della Croce Rossa. Il bambino si è fatto male giocando a basket e deve fare i raggi (“le fotografie alle ossa”) per vedere se è presente una frattura. Scambio qualche battuta con la mamma ed il bambino che lamenta un forte dolore al polso destro, mi propongo quindi di andare a recuperare una busta di ghiaccio per alleviare il dolore, la gentilissima infermiera del triage dell’area verde me la indica sullo scaffale. Torno a consegnare la busta al bambino raccomandandogli di tenere il ghiaccio sopra la manica della felpa. Dopo qualche sorriso e quattro chiacchiere C. e io continuiamo il nostro giro. Al passaggio successivo, dopo circa mezz’ora, mamma e bambino erano tornati verso la pediatria con le fotografie delle ossa.

–          Comunicazione del decesso della Sig.ra E. ai familiari.

La Signora E. di anni novanta circa arriva in P.S. portata da un S.U.E.M. della Croce Rossa che è stato inviato sul luogo dell’intervento per distress respiratorio. Poco dopo l’arrivo in area rossa la Sig.ra E. ha un arresto respiratorio. Gli interventi del personale dell’area rossa sono immediati e tempestivi ma purtroppo vani.

All’arrivo dei familiari della Sig.ra E. io sono fuori dal P.S. che chiacchiero con il ragazzo con la pressione alta e mi arriva un messaggio dallo psicologo. Capisco che è arrivato il momento di andare a fare quella parte del servizio che meno mi piace ma spero di poter essere d’aiuto a quelle persone che hanno perso una parte importante dei loro affetti. Quando raggiungo D. in area rossa, mi fermo fuori dalla stanza dei medici e vedo la Dottoressa incaricata della comunicazione ai familiari, D. ed una Signora che poi mi verrà presentata come la figlia della Sig.ra E. Poco dopo la figlia della Sig.ra E., la Dottoressa e D. escono dalla stanza e si portano verso una barella a lato della porta sulla quale è sdraiata la nipote della Sig.ra E. che, al ricevimento della notizia, ha avuto bisogno di qualche goccetta per calmarsi.

Il mio approccio è timido ed impacciato, la cosa migliore che mi viene da fare è stringere la mano alla figlia ed alla nipote e lasciare parlare il mio non verbale che comunica chiaramente che conosco quel dolore che loro provano e che per il momento le cose migliori sono  il silenzio e la presenza. Dopo qualche scambio di frasi iniziano a squillare i telefonini della figlia e della nipote, la notizia del decesso di nonna E. ha iniziato a diffondersi tra i parenti che chiamano per avere notizie sulle condizioni della figlia e della nipote che decide che è meglio, per il momento, spegnere i telefoni. Mi conforta sentire la figlia che dice al telefono che non sono sole, ci sono uno psicologo della Croce Rossa ed un altro volontario con loro. La nipote che si sente un pochino meglio, mi dice che vorrebbe essere più forte e che è preoccupata per la mamma, Le faccio notare che è già forte perché si preoccupa più di sua mamma che di lei e che avranno bisogno entrambe l’una dell’altra. Restiamo qualche minuto in attesa dell’arrivo del sacerdote per andare a dare un ultimo saluto con una preghiera alla Sig.ra E. che nel mentre è stata portata nella “stanza blu” in fondo al corridoio sulla destra, dopo le porte scorrevoli. La stanza è piccola, una barella al centro e tre sedie sul lato sinistro. Entriamo accompagnati da un infermiera dell’area rossa che mette in ribalta la finestra, la Sig.ra E. è sulla barella al centro della stanza, l’infermiera fa un risvolto al lenzuolo verde steso sopra le spondine alzate, quanto basta per scoprire il volto. Quello che sento di fare è continuare a tenere la mano sulla spalla della figlia. Sono minuti intensi.

Giunge il  momento dell’ultimo saluto a nonna E., figlia e nipote capiscono che potrebbe essere l’ultima volta che riescono a salutarla, baci, carezze e lacrime. L’infermiera apre la porta della stanza blu e lentamente usciamo verso il corridoio. D. si avvicina alla figlia che riesce ad esternare il dolore piangendo mentre io mi avvicino alla nipote che reagisce al dolore con il silenzio. Propongo a D. di accompagnare i parenti fino a fuori dal pronto soccorso per non farli uscire da soli, siamo stati al loro fianco e li abbiamo accompagnati fin dall’inizio della visita e mi sembra la cosa giusta accompagnarli fino alla fine della nostra zona di competenza. Mi accosto alla nipote ed alzando un gomito le propongo un passaggio, Lei accetta volentieri con un accendo di sorriso. D. accompagna la figlia. Passiamo per la zona di attesa dell’area verde e ci avviamo verso l’uscita, ci accoglie una folata di aria fresca.

Tra i mille pensieri la cosa migliore che mi viene da dire è che ora la nipote deve avere cura della figlia e che un lutto ha bisogno del suo tempo. Resterà una cicatrice che contribuirà al ricordo di nonna E., queste sono situazioni che non si superano facilmente, si impara a conviverci e forse, con il passare del tempo, ad accettarle. La nipote mi racconta delle peripezie che ha dovuto fare quel pomeriggio per convincere sua mamma a mettere a posto due denti che le davano noia. Sua mamma non voleva lasciare la nonna da sola e quindi aveva dovuto spostare degli impegni per far combaciare l’appuntamento dallo zio odontoiatra. Dico alla nipote che in realtà è più forte di quanto crede, lo dimostra il fatto che ha già iniziato a prendersi carico della mamma dicendomi che secondo lei ultimamente si era trascurata molto e che avrebbe voluto portarla dalla parrucchiera. Arriviamo in cima alla rampa davanti al pronto soccorso e diamo gli ultimi saluti con un abbraccio alla mamma ed alla figlia che si avviano verso la macchina con il sacchetto di plastica bianca con gli effetti personali di nonna E., il nome scritto con un pennarello nero su una striscia di nastro telato bianco attaccato sul sacchetto.

Ritorniamo verso il pronto soccorso.

Michele – Volontario CRI